Nell'ordinamento giuridico romano, era la massa dei non nobili, in contrapposizione alla nobiltà di sangue dei patrizi. È stato ipotizzato che i plebeii fossero i discendenti delle popolazioni mediterranee del Lazio antico, che si trovarono in condizioni di sudditanza dopo l'invasione degli Indeuropei. Plebs era dunque una categoria etnico-razziale, ma anche socio-economica, se è vero che i plebeii erano i nullatenenti in seno al populus Romanus. Sotto un certo aspetto, la storia del diritto romano è la storia della lunga marcia dei plebeii verso l'eguaglianza politico-giuridica coi patrizi. Sin dal V secolo a.C, la plebe si organizzò in modo da formare uno Stato nello Stato, con le proprie assemblee (concilia plebis), le proprie leggi (plebiscito), i propri capi (tribuni, aediles plebis), ottenendo fra l'altro l'abrogazione dell'odiosa norma di legge che vietava i matrimoni misti tra patrizi e plebeii. Nel IV secolo, i plebei conquistarono l'accesso al senato e alle principali magistrature, che prima erano appannaggio dei patrizi. Nel III-II secolo, l'espansione del dominio romano spinse la plebe a rivendicare la riforma agraria e la distribuzione al popolo delle terre conquistate. Dopo il fallimento del programma dei Gracchi, fu Mario il primo leader plebeo a impadronirsi del potere con la forza, dando inizio all'età delle guerre civili. Nel I secolo a.C, l'opera di Mario fu proseguita da Cesare e da Ottaviano Augusto; ma con questi ultimi, il programma plebeo di opposizione violenta al potere del senato ebbe come effetto l'instaurazione di un regime prima dittatoriale, e poi imperiale. La lunga marcia della plebe romana non si concluse dunque con la proclamazione di una repubblica democratica, sul modello di quella ateniese, ma con l'instaurazione della monarchia (principatus).